– The Hurt Locker – 2008 – ♥♥♥♥ –
di
Kathryn Bigelow
In The Hurt Locker la guerra in Iraq è solamente un pretesto, è solo uno sfondo. Ma è una scenografia che delinea in maniera validissima tutto quello che al suo interno questo film cela. In primo luogo le dipendenze dell’ essere umano e quelle passioni adrenaliniche in grado di spingere l’ uomo ad abbandonare la sfera affettiva e sicura della propria vita alla ricerca di quella insostituibile sensazione al confine tra la vita e la morte. Si può chiamarla droga o in questo caso semplicemente dipendenza da guerra. La stessa regista Kathryn Bigelow si affida a quella stessa sensazione, che accompagnava Patrick Swayze & co. in Point Break, e che spesso e in svariati modi è in grado di prendere il sopravvento sulla razionalità umana. Qui la stessa adrenalina è spinta verso la dipendenza dal detonare bombe, a punto tale da arrivare ad amarle. I suoi tre protagonisti hanno tre caratteri che nel mondo militare è decisamente frequente incontrare: c’è il giovane soldato emotivo che tornerà a casa ferito, il giovane di colore che ragiona in maniera estremamente razionale e che sembra indipendente e sicuro ma che cela profonda voglia di crearsi una famiglia e una stabilità e infine l’ addetto a disattivare le bombe e bullo, interpretato dal candidato all’ Oscar 2010 Jeremy Renner. E’ proprio quest’ ultimo che catalizza maggiormente l’ attenzione dello spettatore, invitandolo a riflettere su quella che è diventata l’ America per le nuove generazioni di soldati. Non c’è più quindi quell’ ideale di superpotenza indistruttibile, pieno di eroi capaci di mantenere una doppia vita (quella degli affetti a casa propria e quella della lucidità nell’ affrontare la guerra). Tutto questo è stato sostituito dal desiderio, dall’ irrefrenabile voglia di spingersi sempre per colmare quella sensazione di vuoto affettivo e di valori che contraddistingue molti giovani di questa generazione-Iraq. La guerra e il suo desiderio di farne parte, qualunque sia il ruolo assegnato in essa, diviene nel protagonista Jason la sua vita stessa. Una vita alla quale si sente morbosamente spinto e attaccato, con una dipendenza tale da non poterne fare a meno. La Bigelow in ogni sequenza entra fin dentro le viscere della guerra e ci rende partecipi anche del suono delle pallottole che attraversano la carne umana, dando così una sicura impronta diretta e senza alcun filtro di ciò che accade sullo schermo. Lo spettatore, anche grazie ai movimenti di macchina estremamente dinamici, si troverà catapultato in un horror della guerra e sarà per lui impossibile limitarsi ad osservarlo senza esserne in qualche maniera coinvolto. Sicura forza del film è la sua sceneggiatura, scritta dal giornalista Mark Boal (anche lui candidato all’ Oscar per la Sceneggiatura originale). Boal, grazie alla sua esperienza come inviato sul campo, riesce ad imprimere quella veridicità alla guerra in Iraq spesso vista solamente attraverso la conta dei suoi morti ma poche volte sotto le loro missioni quotidiane, molte volte poco importanti, ma durante le quali la vita dei soldati è costantemente messa in gioco come in una roulette russa dall’ esito incerto. E se anche il risultato di quelle missioni fosse il successo, ci viene mostrato come questo non sia soddisfacente per i soldati ma di come al contrario li ponga dinnanzi alla voglia di affrontare una nuova sfida ben più pericolosa. Degna di nota la sequenza nella quale James di notte si mette alla ricerca dei probabili assassini di un bambino irakeno: ci testimonia con estrema forza di come dietro la realtà mattutina conosciuta dai soldati, spesso anche l’ unica che è data a loro conoscere, si nasconde una realtà fatta di persone ospitali, con un livello di cultura medio-alto e che comunque tentano di condurre nel migliore dei modi, onestamente la propria difficile vita, messa a rischio dai drogati della guerra.
(Detonazioni sicure)
(L' Ostinazione cieca di James)